Ogni giorno Facebook, dopo avermi invitata a prendere l’ombrello perché fuori piove, mi propone un ricordo. Si tratta di miei post di uno, tre o sette anni fa, pubblicati proprio nella stessa data. Confesso di cedere spesso alla tentazione non solo di rivedere, ma anche di ripubblicare un ricordo di questi, perché mi fa piacere ripensare a certi momenti di spensieratezza o semplice “gadanaggine” (1). Tuttavia un ricordo vero è tutto un altro paio di maniche
Infatti, per selezionare i ricordi, un conto è il criterio meramente cronologico di ripescaggio nella litania dei post, un altro è il filtro della memoria attraverso le emozioni, senza contare poi che certi ricordi veramente importanti non vengono affidati ai social network per nessuna ragione.
Ognuno di noi custodisce dentro di sé ricordi resi vivi dalle emozioni e dai sentimenti. Alcuni diventano storie raccontate, altri si traducono in parole scritte, fotografie da lasciar consumare dal tempo, oppure schizzi o disegni per i più creativi. A volte ci sono perfino documenti ufficiali che hanno conservato un valore affettivo e, tra le righe della burocrazia, lasciano trasparire un lieto evento o una conquista difficile.
Ci sono anche ricordi segreti, che hanno immenso valore per noi, ma che non racconteremmo a nessuno nemmeno sotto tortura. Poi non sempre i ricordi sono belli, alcuni fanno male, altri ci fanno vergognare, ma almeno il filtro della memoria ci permette di elaborarli, edulcorarli, emulsionarli con il resto della nostra vita, fino a quando riusciamo, se non proprio ad accettarli, almeno a superarli per continuare la nostra strada.
Faccio fatica ad immaginare che un insieme di algoritmi, per quanto potenti ed intelligenti come quelli di Facebook o di Google, possa ripescare un ricordo secondo i personalissimi criteri di ciascuno di noi. Per questo serve il nostro diretto intervento di rielaborazione dei dati e magari anche di trasfigurazione della realtà: in fondo l’esperienza di vita vissuta non si costruisce anche con un po’ di fantasia?
Piuttosto , visto che abbiamo sempre meno dimestichezza con l’archiviazione di elementi analogici (quanti pezzi di carta riusciamo a perdere?), serve un ambiente virtuale dove elaborare un ricordo con calma e con la tranquillità che non finirà in pasto ad occhi ed orecchie indiscrete. Ultimamente ho cominciato a giocare con Exit.bio, un servizio web nato a Torino proprio come luogo virtuale per custodire i propri ricordi e costruire memorie di valore. Sto raccogliendo vecchie fotografie e appunti. Vi racconterò.
(1) Nota per non piemontesi: “Gadanaggine” deriva da “gadàn”, che significa stupidino, mattacchione e anche un po’ perdigiorno.